11 febbraio, 2016

L'innamoramento: una forma di tossicodipendenza.

Per la ricercatrice antropologa Helen Fisher, l'amore appassionato è una vera e propria dipendenza che, in caso di rottura, deve essere trattata come qualsiasi altra dipendenza. 

When We Say Someone Is Drunk on Love, Is It Chemically True?
Dopo aver sperimentato l'amore appassionato, alcune persone non sono in grado di dimenticare l'amata, o l'amato. Dietro le intensi sensazioni di mancanza, di dolore e di stress psicofisico, ci sarebbe una ragione biologica. Pertanto per superare il fallimento di un rapporto basterebbe trattarlo come una vera e propria dipendenza.

https://books.google.it/books/about/Anatomy_of_Love.html?id=f5aTEuku_S0C&redir_esc=yIl cervello nell'amore. Questo è il campo di ricerca della biologa, ricercatrice e antropologa, presso l'Istituto Kinsey nell'Indiana University (USA), Helen Fisher. In un recente libro "Anatomy of Love: A Natural History of Mating, Marriage, And Why We Stray", descrive l'amore romantico, la passione come una vera e propria ossessione.

"Una sensazione che si ha fino alla perdita dell'identità. Una meravigliosa dipendenza, quando si vive un bellissimo rapporto, che può trasformarsi in un vero e proprio avvelenamento dagli effetti terribilmente negativi alla sua rottura", dice la scienziata. Di qui la sua premessa: l'amore è dipendenza.

"Gli amanti distorcono la realtà, cambiano le loro priorità e le loro abitudini quotidiane per adattarsi all'amata. Spesso fanno cose inappropriate, pericolose o estreme, pur di rimanere in contatto o impressionare il partner". Peggio ancora: "La personalità dell'amante può letteralmente trasformarsi. Un fenomeno noto come "disturbo emotivo". In tale stato, l'essere umano è pronto a sacrificare se stesso per la sua dolce metà, o anche a morire per lei".

Gli operatori sanitari sono d'accordo nel definire la dipendenza come una patologia. Ma l'amore appassionato, che rappresenta in primis un'esperienza positiva, non è ufficialmente considerato come una dipendenza. Eppure i risultati di diversi studi suggeriscono che l'amore folle deve essere trattato come una dipendenza. "Come il drogato che soffre se non ha avuto la sua dose, l'amante prova la stessa ansia ed i sentimenti di mancanza quando è lontano dall'amata".

Gli effetti perversi per la verità iniziano quando uno dei partner avverte il rifiuto dell'altro. Tra i sintomi: pianto, letargia, ansia, disturbi del sonno, perdita di appetito o iperfagia bulimica, irritabilità ... Anche molto tempo dopo la fine di un rapporto, gli amanti sperimentano le ricadute, come se tossicodipendenti fanno di tutto per ritrovare e riaccendere la fiamma con la persona perduta. 


I neuro-scienziati Andreas Bartels e Semir Zeki hanno confrontato il cervello delle persone in amore con quello dei tossicodipendenti, euforici per aver appena consumato cocaina o oppiacei. In entrambi i casi, un gran numero di aree identiche vengono attivate. In particolare nel sistema di ricompensa del cervello, o ciò che è ancora chiamato il (triune brain) cervello trino, associato, tra tra l'altro, al forte desiderio, per dirla in breve, a tutte le dipendenze. In particolare, è il nucleus accumbens che si attiva quando c'è uso di eroina, cocaina, nicotina, alcol, anfetamine o oppiacei. Ma anche quando si ha una dipendenza dal gioco, dal sesso o dal cibo. Vale a dire che gli amanti sono letteralmente dipendenti da loro partner. 

La neuroscienziata Lucy Brown, partner nella ricerca di Helen Fisher, paragona l'amore appassionato ad una dipendenza naturale, "una alterazione dello stato normale conosciuto da quasi tutti gli esseri umani". Ma come ironicamente sottolinea il ricercatore Helen Fisher: "l'amore passionale è più della cocaina. Almeno dalla cocaina, si ridiscende!". 

Per capire meglio i sistemi neurali associati con il rifiuto in amore, lo scienziato ha utilizzato la tecnica di imaging de risonanza magnetica funzionale studiando il cervello di 15 volontari (10 donne e 5 uomini) recentemente oggetto di rifiuto. La durata media del loro rapporto era di circa 2 anni e da circa 2 mesi il rapporto era finito. I partecipanti sono stati sottoposti ad un questionario per misurare l'intensità dei loro sentimenti d'amore. Tutti hanno raggiunto risultati tali da mostrare di aver sperimentato l'amore appassionato. Tutti hanno confidato di aver speso più dell'85% del loro tempo a pensare alla persona amata che li ha respinti. 

Vedendo il loro ex partner stimolato una regione del cervello chiamata area tegmentale ventrale, che è deputata alle motivazioni ed alla ricompensa. Altre regioni del cervello sono state attivate, come il nucleus accumbens e la corteccia orbitofrontale / prefrontale, note per essere associate all'intensa dipendenza da cocaina e sigarette. É stata anche osservato l'aumento di attività nella corteccia insulare e cingolata anteriore, regioni associate al dolore fisico ed alla sofferenza.

Come tutte le dipendenze, l'amore appassionato può condurre alla violenza. L'amante respinto può soffrire di "frustrazione-aggressione", quello che gli psicologi chiamano "sindrome da abbandono". Molte persone oscillano tra dolore e rabbia che si spiega con un aumento dell'attività della dopamina e noradrenalina e la soppressione della serotonina, nota come "risposta allo stress".

Il sistema primario della rabbia è strettamente legato ad alcuni centri della corteccia prefrontale che anticipa le ricompense. Quando una persona comincia a rendersi conto che un premio atteso è inaccessibile, queste regioni della corteccia prefrontale stimolano l'amigdala che aziona la miccia della rabbia. Questa risposta rabbiosa alle aspettative non soddisfatte è ben nota in alcuni mammiferi come i gatti. Al momento della carezze, fanno le fusa, ma una volta che questo piacevole stimolazione èfermata, a volte possono mordere. 

Quando una persona avverte che non è più amata, entra in una fase di depressione/disperazione. Durante questa fase, vengono coinvolti i circuiti di dopamina. La produzione delle cellule di questo neurotrasmettitore, nel sistema di ricompensa, diminuisce e, con essa, la loro attività, che si traduce in manifestazione di letargia, sconforto, malinconia e depressione. Lo stress, a breve termine, di questa situazione, intensifica la produzione di dopamina e noradrenalina. Mentre a lungo termine sopprime l'attività di questi neurotrasmettitori dando origine alla depressione. 

Un altro studio conferma questi assunti: su oltre 114 volontari (uomini e donne) respinti nelle ultime otto settimane, il 40% degli individui ha avuto una depressione clinicamente misurabile. Inoltre, alcuni addirittura sono morti per attacco di cuore o ictus causato da depressione. Altri si sono suicidati. 

Nessun commento: