Le notizie che arrivano ogni dì difficilmente ci lasciano sereni e tranquilli. Degli ultimi giorni e delle ammucchiate selvagge meglio non parlare. La sensazione di disagio e indignazione è forte.
A qualche commentatore dell'ultima ora suggerirei di leggere Habermas che di questo tipo di disagio si è fatto interprete nei confronti dell'Europa ma che investe tutte le frazioni del vivere politico e sociale. In questo breve post lo citerò perche un po' più autorevole sia il mio dire ancorchè, come dice un caro amico, meno barocco.
Da troppo tempo i nostri politici non sanno pensare ad altro che a farsi eleggere, sono incapaci di avere una qualsiasi visione concreta o una vera convinzione e di difenderli. L'essenza di questa crisi è aver messo sullo stesso piano filosofia e discorsi da bar. In altre parole, sono troppi a dire troppe cose. Servirebbe invece qualcuno capace di ridare un ordine ai problemi. E infatti la caratteristica di questa crisi è un crescendo di confusione: le responsabilità e i cambiamenti in atto sono percepiti in maniera sempre più vaga tanto che le possibili alternative scompaiono dalla nostra visuale.
Non c'è democrazia senza 'demos' secondo Josef Isensee, costituzionalista tedesco: Dalle nostre parti non solo non v'è demos ma potrei giurare che non si sappia più nemmeno cosa sia.
Il tutto immerso nella brodaglia dell'opinione pubblica, melassa formata, spesso informata da pensieri molto vaghi fatti di sondaggi che spingono lontano, molto lontano da un terreno condivisibile più facilmente coltivabile.
La stessa Rete che dovrebbe essere antidoto contro il potere, ne diventa lo specchio costruendo il suo essere parassitario.
Per Habermas l'intellettuale deve svolgere il suo ruolo di indirizzo proprio in una realtà segnata dai media, che rendono la discussione pubblica materia prima di un infotainment che impedisce la definizione propria di un terreno condiviso e di una politica deliberativa. E non è un caso che nei ritratti di intellettuali significati della fine del Novecento Habermas annoveri studiosi liberal come Richard Rorty o disincantati e ostili a una politica «radicale» come Jacques Derrida. Lo schema proposto del rapporto tra opinione pubblica, agire politico e sfera statale risulta così alterato. L'opinione pubblica non è infatti costituita da uomini e donne informati, ma da un accumulo di informazioni precostituite da sondaggi tesi tuttavia a impedire la definizione di un terreno condiviso. L'agire politico è dunque investito dall'infotainment e rischia così di liquefarsi. La scelta suicida di molti partiti è cercare di rappresentare il simulacro di opinione pubblica prodotto dall'infotainment. Il percorso da compiere è scomodo e pieno di insidie, che sconquassi i privilegiati detentori delle decisioni politiche e permetta un cammino comune tra quelli che seguono la stessa direzione.
Caro Rino tu hai ragione quando citi la Rivoluzione, io, tuttavia, suggerirei di guardare all'esempio fornito dagli eventi del Maghreb, come ho sentito anche dire da una semplice militante di sinistra di nome Rosa. Nella sua potente semplicità ha suggerito un percorso che abbia, naturalmente, forme opportune di coordinamento.
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