I ricercatori hanno scoperto una larva in grado di ingerire polietilene, una speranza per il trattamento di questa plastica.
La scoperta di una larva che divora il polietilene, una delle materie plastiche più resistenti, utilizzate in molti tipi di confezioni, apre la prospettiva della decomposizione delle sostanze inquinanti che si accumulano nell'ambiente, inclusi gli oceani, in fretta.
"I rifiuti di plastica sono un problema ambientale globale, in particolare il polietilene, molto resistente e molto difficile da degradare naturalmente", dice Federica Bertocchini, ricercatrice presso il Centro spagnolo Nazionale delle Ricerche (CSIC), autrice della scoperta della larva della tarma della cera, la Galleria mellonella, lepidottero appartenente alla famiglia Pyralidae, infestante degli alveari di Apis mellifera.
Ogni anno, circa 80 milioni di tonnellate di polietilene vengono prodotte in tutto il mondo specificano i ricercatori la cui scoperta è stata pubblicata Lunedi sulla rivista Current Biology.
Questa larva, molto commercializzata e allevata in gran numero, utilizzata come esca da pesca, è parassita degli alveari selvatici e si annida nella cera delle api in tutta Europa.
La studiosa è anche apicultrice amatoriale ed ha osservato che i sacchetti di plastica in cui erano collocate le arnie di cera infettate da questo parassita venivano rapidamente bucherellate, crivellate di buchi.
Ulteriori osservazioni su un sacchetto del supermercato del Regno Unito, sottoposto all'azione di un centinaio di queste larve, hanno mostrato che queste potrebbero danneggiare la plastica in meno di un'ora.
I fori cominciavano ad apparire dopo soli 40 minuti e dopo dodici ore, la massa plastica della borsa, era ridotta di 92 milligrammi. Risultato notevole, spiegano i ricercatori.
Essi sottolineano che il tasso di degradazione è "estremamente veloce" rispetto ad altre recenti scoperte, come quella di un batterio, lo scorso anno, che può anche degradare alcune materie plastiche, ma nella misura di 0,13 milligrammi al giorno, soltanto.
Gli autori di questa ultima scoperta pensano che questa larva del lepidottero non solo mangi la cera ma trasformi la plastica e la aggredisca chimicamente con una sostanza prodotta dalle ghiandole salivari.
"Uno dei prossimi passi sarà quello di cercare di identificare i processi molecolari e determinare come isolare l'enzima responsabile", spiegano.
"Se si tratta di un singolo enzima, questo, può essere realizzato su scala industriale attraverso le biotecnologie", dice Paolo Bombelli dell'Università di Cambridge nel Regno Unito, uno dei principali co-autori di questo lavoro.
Secondo lui, "questa scoperta potrebbe essere uno strumento importante per eliminare i rifiuti di plastica in polietilene che si accumulano nelle discariche e negli oceani".
Il Polietilene è utilizzato principalmente per l'imballaggio e rappresenta il 40% della domanda totale di prodotti plastici in Europa, dei quali il 38% finisce in discarica. Mille miliardi di sacchetti di plastica sono utilizzati in tutto il mondo ogni anno e ogni persona utilizza in media ogni anno oltre 230 di queste borse, producendo più di 100.000 tonnellate di rifiuti.
Attualmente, il processo di degradazione chimica di questi rifiuti in plastica avviene con sostanze chimiche altamente corrosive come l'acido nitrico e può richiedere diversi mesi. Se abbandonati in natura, ci vuole circa un secolo perchè questi sacchetti di plastica si decompongano completamente. Per la plastica più resistente, questo processo può richiedere fino a 400 anni.
Circa otto milioni di tonnellate di plastica vengono scaricate ogni anno nei mari ed oceani del mondo, secondo uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista Science. Gli scienziati ritengono che ci potrebbero essere fino a 110 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica negli oceani. I frammenti di plastica piccoli possono essere assorbiti dai pesci e altre specie marine.
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"I rifiuti di plastica sono un problema ambientale globale, in particolare il polietilene, molto resistente e molto difficile da degradare naturalmente", dice Federica Bertocchini, ricercatrice presso il Centro spagnolo Nazionale delle Ricerche (CSIC), autrice della scoperta della larva della tarma della cera, la Galleria mellonella, lepidottero appartenente alla famiglia Pyralidae, infestante degli alveari di Apis mellifera.
Ogni anno, circa 80 milioni di tonnellate di polietilene vengono prodotte in tutto il mondo specificano i ricercatori la cui scoperta è stata pubblicata Lunedi sulla rivista Current Biology.
Questa larva, molto commercializzata e allevata in gran numero, utilizzata come esca da pesca, è parassita degli alveari selvatici e si annida nella cera delle api in tutta Europa.
La studiosa è anche apicultrice amatoriale ed ha osservato che i sacchetti di plastica in cui erano collocate le arnie di cera infettate da questo parassita venivano rapidamente bucherellate, crivellate di buchi.
Ulteriori osservazioni su un sacchetto del supermercato del Regno Unito, sottoposto all'azione di un centinaio di queste larve, hanno mostrato che queste potrebbero danneggiare la plastica in meno di un'ora.
I fori cominciavano ad apparire dopo soli 40 minuti e dopo dodici ore, la massa plastica della borsa, era ridotta di 92 milligrammi. Risultato notevole, spiegano i ricercatori.
Essi sottolineano che il tasso di degradazione è "estremamente veloce" rispetto ad altre recenti scoperte, come quella di un batterio, lo scorso anno, che può anche degradare alcune materie plastiche, ma nella misura di 0,13 milligrammi al giorno, soltanto.
Gli autori di questa ultima scoperta pensano che questa larva del lepidottero non solo mangi la cera ma trasformi la plastica e la aggredisca chimicamente con una sostanza prodotta dalle ghiandole salivari.
"Uno dei prossimi passi sarà quello di cercare di identificare i processi molecolari e determinare come isolare l'enzima responsabile", spiegano.
"Se si tratta di un singolo enzima, questo, può essere realizzato su scala industriale attraverso le biotecnologie", dice Paolo Bombelli dell'Università di Cambridge nel Regno Unito, uno dei principali co-autori di questo lavoro.
Secondo lui, "questa scoperta potrebbe essere uno strumento importante per eliminare i rifiuti di plastica in polietilene che si accumulano nelle discariche e negli oceani".
Il Polietilene è utilizzato principalmente per l'imballaggio e rappresenta il 40% della domanda totale di prodotti plastici in Europa, dei quali il 38% finisce in discarica. Mille miliardi di sacchetti di plastica sono utilizzati in tutto il mondo ogni anno e ogni persona utilizza in media ogni anno oltre 230 di queste borse, producendo più di 100.000 tonnellate di rifiuti.
Attualmente, il processo di degradazione chimica di questi rifiuti in plastica avviene con sostanze chimiche altamente corrosive come l'acido nitrico e può richiedere diversi mesi. Se abbandonati in natura, ci vuole circa un secolo perchè questi sacchetti di plastica si decompongano completamente. Per la plastica più resistente, questo processo può richiedere fino a 400 anni.
Circa otto milioni di tonnellate di plastica vengono scaricate ogni anno nei mari ed oceani del mondo, secondo uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista Science. Gli scienziati ritengono che ci potrebbero essere fino a 110 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica negli oceani. I frammenti di plastica piccoli possono essere assorbiti dai pesci e altre specie marine.
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