La Giustizia indiana mantiene, dunque, la legge che criminalizza l'omosessualità.
La Corte ha, infatti, annullato una sentenza emessa da un tribunale di Nuova Delhi nel 2009 che depenalizzava le relazioni tra adulti consenzienti dello stesso sesso.
I giudici rinviano la questione al Parlamento perchè legiferi su tale argomento. Tale decisione ha avuto l'effetto di una doccia fredda per i sostenitori dei diritti dei gay.
L'Alta Corte della capitale indiana aveva considerato nel 2009 che l'articolo 377 del codice penale del 1860, che criminalizza le relazioni omosessuali consensuali, in particolare la sodomia fosse una "violazione dei diritti fondamentali" della Costituzione.
La Corte Suprema questa volta ha deciso diversamente, giudicando questo articolo in conformità con la Legge fondamentale. Ma "Spetta al Parlamento di legiferare su questo tema". Così si è espresso il giudice GS Singhvi nella sua decisione di mercoledì.
La decisione della Alta Corte di Delhi è stata contestata da diversi gruppi religiosi del paese, in particolare religiosi musulmani e cristiani, che avevano presentato ricorso alla Corte Suprema.
"Il legislatore dovrebbe prendere in considerazione la rimozione di questa parte della legge in conformità con le raccomandazioni dell'avvocatura generale", ha detto il giudice GS Singhvi.
Finora, il diritto penale ha definito il comportamento omosessuale "contro natura", punibile con una multa e dieci anni di reclusione.
Anche se la legge viene raramente applicata, le associazioni che difendono i gay si lamentano di molestie, intimidazioni anche da parte della polizia.
"Questa è stata una decisione del tutto inattesa da parte della Corte Suprema. Questo è un giorno nero per la comunità gay" ha dichiarato Arvind Narayan, avvocato dell'associazione per i diritti dei gay Alternative Law Forum. "Siamo molto arrabbiati contro questa decisione retrograda della Corte", ha aggiunto.
Amnesty International ha dichiarato in un comunicato che la decisione è stata "un duro colpo per i diritti alla parità, la dignità e la privacy delle persone". Questa sentenza "riporta l'India indietro di parecchi anni contro il suo impegno di proteggere i diritti fondamentali", ha detto G. Ananthapadmanabhan, direttore esecutivo della ONG in India.
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