Un anno dopo la nascita del movimento 'Black in X', i suoi attivisti accolgono con favore l'estendersi della consapevolezza del razzismo nel mondo della ricerca. Ma denunciano la mancanza di azioni concrete da parte delle istituzioni e chiedono maggiori impegni.
"Molte volte le persone vogliono guardarci attraverso una lente DEI (diversità, equità e inclusione) e non come scienziati, ingegneri o esperti nel nostro campo".
Quincy Brown è uno dei leader di “Black In Computing” e “Black In Robotics”, due movimenti antirazzisti nel campo dell'informatica e della robotica.
Questo informatico di Washington è stato intervistato dalla rivista Nature in occasione dell'apertura, martedì 29 giugno, del seminario "Black in X".
Organizzato da circa 80 gruppi dell'omonimo movimento, sorto un anno fa, l'evento si propone di fare il punto sulla lotta al razzismo nel campo della ricerca.
Nel maggio 2020 erano emerse proteste antirazziste - Black Lives Matter - dopo la morte di George Floyd negli Stati Uniti, e con esse un movimento globale per denunciare il razzismo nella ricerca. I ricercatori hanno testimoniato sui social media tramite vari hashtag, tra cui #BlackInTheIvory.
La mobilitazione ha guadagnato slancio fino alla chiusura di diversi laboratori il 10 giugno 2020, sotto le insegne #ShutDownSTEM e #Strike4BlackLives, riporta Nature. "Università, società professionali, editori e riviste accademiche, tra cui Nature, hanno rilasciato dichiarazioni che condannano il razzismo all'interno delle loro organizzazioni e promettono di adottare misure concrete per attuare politiche antirazziste".
Il giornale ha poi confessato di essere "(essere stata) una di quelle istituzioni bianche che perpetuano il pregiudizio nella ricerca e nel mondo accademico".
E un anno dopo?
Se il movimento ha permesso la liberazione della parola e una certa consapevolezza, le strutture difficilmente sono andate oltre le semplici dichiarazioni, deplora Tyrone Grandison, leader di “Black In Computing” e “Black In Engineering” e specialista in informatica.
Preso di mira, tra gli altri, Nature afferma di aver mosso i primi passi, ma riconosce che occorre fare di più.
I leader chiedono azione e sostegno finanziario, in particolare per gli organizzatori che ora si offrono volontari per continuare il movimento.
"Non spetta a noi risolvere il problema del razzismo nel mondo accademico", afferma Samantha Theresa Mensah, chimica dei materiali presso l'Università della California e co-fondatrice di #BlackInChem.
Resta da vedere se il seminario "Black in X" avrà lo stesso impatto dell'ascesa del movimento.