Lo studio suggerisce che un cambiamento nei modelli meteorologici nell'Africa meridionale potrebbe aver contribuito all'ascesa dell''Homo sapiens'.
'Una simulazione climatica degli ultimi due milioni di anni mostra che le temperature e altri fenomeni planetari hanno influenzato le prime migrazioni umane e forse hanno contribuito all'emergere dell'attuale specie umana, circa 300.000 anni fa', riporta Nature in un articolo per il grande pubblico.
Ad oggi, è il più grande modello numerico per studiare come le fluttuazioni climatiche a lungo termine, causate dal movimento astronomico della Terra, possano aver creato le condizioni per l'evoluzione umana.
I ricercatori, che hanno pubblicato i loro risultati su Nature il 13 aprile, hanno utilizzato un supercomputer che ha funzionato per sei mesi.
'Le nostre solide simulazioni numeriche del cambiamento dell'habitat indotto dal clima forniscono un quadro per testare ipotesi sulla nostra origine umana', scrivono.
Peter de Menocal, direttore del Woods Hole Institute of Oceanography, USA, che non è stato coinvolto nel lavoro, commenta:
'Questo tenderebbe a dimostrare ancora una volta il ruolo del clima nell'evoluzione dell'umanità'.
L'idea non è nuova, ma fino ad ora gli scienziati hanno lottato per dimostrarla. Questo studio ha prodotto una quantità vertiginosa di dati in cui i ricercatori hanno individuato interessanti 'modelli', che hanno analizzato.
Ad esempio, ritengono che i loro dati mostrino che una specie umana primitiva, Homo heidelbergensis, iniziò ad espandere il suo areale circa 700.000 anni fa.
Secondo loro, il loro modello suggerisce che la nostra specie, l'Homo sapiens, si sia evoluta quando l'Homo heidelbergensis, nell'Africa meridionale, ha iniziato a perdere il suo habitat durante un periodo insolitamente caldo. Questa popolazione potrebbe essersi evoluta in Homo sapiens adattandosi a condizioni più calde e secche.
Tuttavia, questa ipotesi non è unanime. 'È molto difficile dimostrare che un particolare evento climatico abbia causato la speciazione', in parte a causa delle lacune nella documentazione sui fossili e nei dati genetici, osserva nella rivista scientifica Tyler Faith, paleobiologo dell'Università dello Utah. Lo stesso vale per altri “motivi” esposti nello studio.
Tuttavia, questa simulazione 'è di per sé un successo fenomenale' e 'fornisce un modello per porre questo tipo di domande', assicura Peter de Menocal. Il team che ha condotto lo studio prevede di eseguire simulazioni ancora più grandi, inclusi ad esempio dati genetici.
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