La Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito lunedi che non è possibile vietare i reati a sfondo sessuale nell'utilizzo dei social network. La decisione è stata presa all'unanimità.
Non possiamo vivere senza social network, anche se si è inveterati maniaci sessuali e già condannati, ha sentenziato lunedi la Corte Suprema degli Stati Uniti.
Non possiamo vivere senza social network, anche se si è inveterati maniaci sessuali e già condannati, ha sentenziato lunedi la Corte Suprema degli Stati Uniti.
In una decisione presa all'unanimità, l'Alta corte ha giudicato illegale una legge molto repressiva dello Stato del North Carolina, che vieta alle persone con precedenti penali di utilizzare Facebook o Twitter.
"Vietare l'accesso ai social network equivale ad impedire a un utente di esercitare i propri diritti legittimi rinvenienti dal Primo Emendamento", ha sottolineato il giudice Anthony Kennedy, riferendosi a questo paragrafo fondamentale della Costituzione degli Stati Uniti sulla libertà di espressione.
Questo caso ha le sue origini in una sorta di aneddoto piuttosto felice: una bella giornata del mese di aprile del 2010, tale Lester Packingham, che vive nel North Carolina, aveva appreso della cancellazione di un processo che aveva impugnato.
Contento, aveva confidato il suo sollievo sul suo account di Facebook: "No fine. No Court costs. No nothing. Praise be to God. Wow. Thanks, Jesus, (Non va bene, nessun costo di giudizio, nulla da spendere. Grazie a Dio, wow! Grazie Gesù)", ha scritto.
Per sua sfortuna, piuttosto che l'intervento celeste, il messaggio era stato letto da un poliziotto zelante, occupato a rintracciare reati sessuali online.
Otto anni prima, all'età di 21, M. Packingham era stato condannato per un rapporto sessuale con un'adolescente di 13 anni.
Questo gli valse una condanna da 10 a 12 mesi sospesi e l'iscrizione in un Registro di sex offender.
Con un corollario, in base ad una controversa legge del 2008 del North Carolina, secondo cui sarebbe stato oggetto di un divieto di 30 anni dell'utilizzo di Facebook, Twitter, Instagram e tutti gli altri siti che promuovono incontri o reti di amici.
Lester Packingham si era ritrovato di nuovo con una condanna, questa volta per il "crimine" di usare Facebook. Nonostante la polizia in una perquisizione nella sua casa non avesse trovato alcuna prova che dimostrasse di aver recentemente abusato o tentato di abusare di minori.
Il condannato si era appellato sostenendo che la legge del North Carolina violasse la sua libertà di espressione.
Nella sua lunga battaglia legale di sei anni, il Packingham aveva incassato il supporto di associazioni impegnate nella lotta contro le restrizioni di Internet come anche di conservatori libertari.
Peraltro la Louisiana e altri dodici stati americani avevano fornito appoggio alla Carolina del Nord, sostenendo che era una priorità evitare che i "predatori sessuali" raccogliessero informazioni sulle potenziali vittime.
All'udienza nel mese di febbraio alla Corte Suprema, diversi giudici avevano sposato la tesi del condannato, cioè che non era più possibile vivere senza il social networking, per diverse ragioni, non ultime l'obiettivo legittimo di cercare lavoro o informarsi.
M. Packingham "non ha il diritto di consultare l'account Twitter del presidente (Trump)" obiettava il magistrato, la progressista Elena Kagan.
Al giorno d'oggi, ha aggiunto, "ogni governatore, ogni parlamentare ha un account Twitter", i social network, secondo lei, "permettono ai cittadini di strutturare la loro vita nella comunità".
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