Finora gli studi si sono concentrati sull'impatto negativo delle specie non autoctone. Gli scienziati, suggeriscono di vedere il lato positivo delle cose.
La maggior parte degli studi scientifici sulle specie non autoctone, spesso indicate come invasive, si concentra sul loro impatto negativo nel loro nuovo ambiente.
Il grande pubblico ricorda in particolare i misfatti della cozza zebra o dell'ambrosia.
Un team internazionale, composto da scienziati delle università americane di Brown e Washington, nonché dell'Università di Ginevra (UNIGE), propone di 'spostare il focus' e di considerare i benefici che anche questi 'invasori' possono portare.
Gli impatti positivi delle specie non autoctone sono spesso spiegati come sorprese fortuite, il tipo di cose che le persone potrebbero aspettarsi che accadano di tanto in tanto, in circostanze particolari'.
'Il nostro studio sostiene che gli impatti positivi delle specie non autoctone non sono né inaspettati né rari, ma invece comuni, significativi e spesso su larga scala'.
Lo studio, pubblicato sulla rivista 'Trends in Ecology and Evolution', sostiene l'utilizzo di un framework sviluppato da IPBES, una piattaforma internazionale per la valutazione della biodiversità e dei suoi servizi ecosistemici, che esamina i benefici della biodiversità per l'uomo e la natura e lo applica a specie non autoctone.
Permetterebbe così di considerare “queste specie in modo costruttivo e di documentarne esplicitamente i vantaggi”. L'idea è quindi quella di fare un bilancio costi-benefici per vedere se il contributo di una specie è positivo o negativo.
I lombrichi sono citati come esempio di specie non autoctona i cui benefici sono sottovalutati. Sebbene possano alterare negativamente gli ecosistemi forestali, possono anche migliorare l'agricoltura biologica.
Una meta-analisi ha infatti dimostrato che la loro presenza può portare ad un aumento del 25% della produttività agricola. Il conseguente minor costo del cibo e una maggiore capacità di sfamare le persone è un vantaggio economico diretto.
Lo studio evidenzia anche i benefici inaspettati di un'altra specie non autoctona, la trota fario. Prendendo l'esempio della Nuova Zelanda, dimostra che la maggior parte delle specie non autoctone che hanno invaso il paese hanno conseguenze negative e quindi i residenti si concentrano sull'eradicarle.
Eppure il paese ha accolto bene la trota fario: i neozelandesi apprezzano così tanto i benefici nutrizionali e ricreativi della pesca che hanno stabilito nuove normative ambientali per proteggerne le specie nelle loro acque.
“Il rapporto che le persone hanno con la natura, il suo valore intrinseco, i servizi ecosistemici, la fornitura di risorse sono tutte cose che apprezziamo nelle specie autoctone. Ci sono anche modi per vedere che le specie non autoctone contribuiscono a questi benefici", afferma Martin Schlaepfer, docente presso l'Istituto di scienze ambientali dell'UNIGE.
Ad esempio, le specie non autoctone possono essere una delle principali cause di estinzione delle specie, ma contribuiscono anche, attraverso la propria migrazione, alla biodiversità regionale aumentando la ricchezza di specie.
Le specie di cozze introdotte nei laghi svizzeri, ad esempio, possono alterare i nutrienti disponibili aumentando la limpidezza dell'acqua.
“Sosteniamo che i pregiudizi di lunga data nei confronti delle specie non autoctone nella letteratura hanno offuscato il processo scientifico, ma hanno anche ostacolato i progressi politici e la corretta comprensione del pubblico. La ricerca futura dovrebbe considerare sia i costi che i benefici delle specie non autoctone', conclude Martin Schlaepfer.
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