Confrontando la 'medusa immortale' con una specie simile, i ricercatori hanno identificato i geni coinvolti nell'inversione del processo di invecchiamento.
“Una specie immortale di meduse ha un duplicato del DNA protettore e geni riparatori. Una scoperta che potrebbe aiutare a comprendere meglio l'invecchiamento e le patologie legate all'età nell'uomo”, assicura il New Scientist.
Il settimanale britannico riporta le conclusioni dello studio pubblicate il 29 agosto su Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS).
Turritopsis dohrnii, detta “medusa immortale”, è un idrozoo noto da tempo per la sua capacità di ritornare ad una fase immatura, allo stato di polipo, dopo aver raggiunto la maturità sessuale, evitando di morire di vecchiaia.
Il video in inglese qui sotto, realizzato dal Natural History Museum di Londra, spiega il ciclo di vita di una medusa “normale” e quello di Turritopsis dohrnii.
Nel tentativo di svelare i segreti di quello che sembra un miracolo, una squadra spagnola ha esaminato il DNA della Turritopsis dohrnii e lo ha confrontato con quello di un cugino mortale Turritopsis rubra.
Il loro intero genoma è stato sequenziato, consentendo ai ricercatori di scoprire che la medusa immortale ha il doppio delle copie dei geni associati alla riparazione e protezione del DNA.
'Questa medusa ha anche mutazioni uniche, che ritardano la divisione cellulare e impediscono il deterioramento dei telomeri (quei piccoli cappucci protettivi situati all'estremità dei cromosomi)', riferisce New Scientist.
I ricercatori hanno anche esaminato quali geni erano attivi durante la fase di metamorfosi che consente all'individuo adulto di tornare giovane. Hanno così messo in evidenza un corredo genetico che costituisce lo “scudo antietà” di questi animali.
Per Maria Pascual-Torner, dell'Università di Oviedo, prima autrice dello studio, questo lavoro potrebbe ispirare la medicina rigenerativa o fornire informazioni su malattie legate all'età come il cancro e la neurodegenerazione. Lei si proietta nel futuro e:
'Il prossimo passo è indagare se queste varianti genetiche esistono nei topi, o anche negli esseri umani'.
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