04 novembre, 2024

Come evitare che le microplastiche che inquinano il suolo finiscano nei nostri piatti?

Poco conosciuto, l’inquinamento del suolo da microplastiche è infatti significativo. Ha effetti negativi sui piccoli abitanti del suolo, sulle colture ma anche sul pollame. 
 
Il sito “Chemistry World” fa il punto. 
“Tartaruga che lottano con cannucce di plastica, pesci catturati in reti abbandonate o gabbiani che si nutrono di sacchi”, elenca Chemistry World. 

L’inquinamento da plastica è associato alla vita marina. Ma riguarda anche l’agricoltura perché “il modo in cui coltiviamo il nostro cibo è cambiato radicalmente dagli anni ’30, quando abbiamo iniziato a produrre plastica su larga scala”, indica il sito britannico. 

Questo materiale è una sorta di panacea: è flessibile, resistente pur essendo leggero, economico e facile da usare. E poi tubi per l'irrigazione, bidoni del fertilizzante, serre e tunnel ma anche pacciamatura... 
Ormai tutto è fatto di plastica. Al punto che oggi si parla di “cultura plastica”. 

L’intera catena alimentare ne è colpita 
Purtroppo la plastica agricola, il più delle volte lasciata sul posto dopo l’uso, si degrada in piccoli pezzi microscopici che inquinano il suolo con un effetto deleterio sui microrganismi che vi vivono ma anche sulle piante coltivate. 


Si trovano in tutta la catena alimentare, dagli invertebrati, come i lombrichi, ai vertebrati. Uno studio condotto in Messico, pubblicato su Scientific Reports nel 2017, ha dimostrato che i polli allevati in giardini dove giaceva vecchia plastica l’hanno ingerita. 

Per evitare questo inquinamento, la soluzione di rinunciare alla plastica non è realistica, sottolinea Chemistry World. 

Secondo un rapporto del 2022 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), il fabbisogno di plastica potrebbe triplicare entro il 2060. Per quanto riguarda “la domanda globale di film di plastica utilizzati per serre, pacciamatura e insilato”, si prevede che “aumenterà del 50% tra il 2019 e il 2030”, prevede l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO). 

I batteri mangiatori di plastica, come l’Ideonella sakaiensis, rappresentano un’area di ricerca vivace e promettente ma “limitata dal fatto che i batteri non ‘mangiano’ tutta la plastica e dal tempo necessario per digerire i polimeri”. 

Inoltre, raccomanda il sito specializzato in chimica, ora bisogna iniziare informando gli agricoltori sugli effetti dei rifiuti di plastica e sulla necessità di raccoglierli, o addirittura riciclarli. 

In Francia è in fase di finalizzazione una perizia scientifica collettiva svolta da INRAE ​​e CNRS sulle plastiche utilizzate in agricoltura e per alimenti. I suoi risultati sono attesi nei prossimi mesi. 

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