Non mi pare vi siano più Mecenate e Orazio o epigoni di tal fatta oggigiorno. Pure, c'è ancora qualcosa che, di tanto in tanto, questo noto passo di Orazio, mi riporta alla mente. Anche dopo secoli le cose si ripetono, cambiano i personaggi ma la musica è sempre la stessa. Oggi non c'è più Mecenate, il committente privato, si potrebbe dire, è tutto denaro pubblico, quanto agli artisti giudicate voi. Se volete segnalate le differenze, un po' come sulla settimana enigmistica. Ma vi lascio ad Orazio, nella traduzione italiana. L'originale è quì
E intanto meditavo qualche mia sciocchezza, tutto concentrato.
Mi abborda d’improvviso un tizio di cui conosco solo il nome.
Afferra la mia mano: «come va, carissimo?»
«fin qui, stupendamente» gli rispondo, «e t’auguro ogni bene».
Non molla. Mi tallona. «Insomma, cosa vuoi?» gli butto là. E lui:
«dovresti pur conoscerci» dichiara «siamo intellettuali». «avrò
per te» gli dico «stima ancor maggiore». Tentando disperato di
tagliare l’ora acceleravo il passo, ora mi fermavo a sussurrare
qualche cosa nell’orecchio del mio servo. Grondavo di sudore
fino alle calcagna. «beato te, Bolano, spirito bollente!»
rimuginavo a bocca chiusa. E l’altro, garrulo, ciarlava, proclamava
il suo entusiasmo per le strade, la città.
Io non replicavo. «ma tu» sogghigna «tu non vedi l’ora di
piantarmi in asso. Da un bel pezzo l’ho notato. Niente da fare: ti terrò
ben stretto, restandoti alle costole. Dove sei diretto, adesso?» «giri
inutili per te: vado a trovare una persona che certo non conosci. È
a letto. Sta di là dal Tevere, lontano, dalle parti dei giardini di Cesare»
«non ho nessun impegno, e non sono affatto pigro, ti accompagno».
Mi si abbassano le orecchie, come a un somarello rassegnato suo
malgrado quando sul dorso gli grava una soma più pesante. Quello
ricomincia: «mi conosco bene: la mia amicizia ti sarà preziosa almeno
quanto quella con Visco e Vario. Ti sfido a trovare chi sappia
scrivere più versi, e più velocemente; chi danzi con maggiore grazia.
Se udisse il mio canto, Ermogene m’invidierebbe».
Era giunto il momento d’interromperlo: «hai ancora la madre,
dei parenti cui stai a cuore il tuo stato di salute?» «più
nessuno, tutti li ho sepolti» «beati! Io, purtroppo, sopravvivo.
Dammi il colpo di grazia: un tragico destino incombe su di me. Una
vecchia sabina, svuotando l’urna per i vaticini (ero fanciullo), lo predisse:
"questo ragazzo non l’ammazzeranno terribili veleni, spade nemiche,
attacchi di pleurite o tisi o podagra che rallenta il passo;
lo porterà alla tomba, un giorno o l’altro, un chiacchierone. Uscito dunque
dalla pubertà, abbia il buonsenso di stare alla larga dai loquaci"».
Eravamo giunti al tempio di Vesta. Scoccava in quel momento l’ora quinta,
e « guarda caso » gli toccava presentarsi in tribunale,
in seguito a cauzione; se non fosse comparso, il processo era perduto.
«fammi un piacere» salta su «assistimi un istante». «fossi matto:
non mi reggo in piedi, di diritto civile non m’intendo,
e poi ho fretta d’andare dove sai». «e io che faccio?» dice
«rinuncio a te, o alla mia causa?» «a me, ti prego»
«nient’affatto» replica, e va avanti. È duro contrastare un vincitore:
finisco col venire dietro. «come va, con Mecenate?»
torna alla carica. «è un uomo assennato, coltiva pochi amici».
«nessuno ha saputo sfruttare più abilmente la fortuna. Avresti
un ottimo assistente, bravo a spalleggiarti, se soltanto acconsentissi
a presentarmi a lui. Garantito che allora li sbaraglieresti
tutti». «no, non è come tu pensi che viviamo in quel circolo:
non c’è ambiente più limpido, più immune
da simili bassezze. Non mi da nessun fastidio, t’assicuro,
che un tale sia più ricco, un altro più dotato di cultura: ognuno
ha il posto che gli spetta». «fantastico, incredibile!» «è
la pura verità!» «ma tu mi fai bruciare ancora di più
dalla gran voglia d’accostare il personaggio!» «se ci tieni tanto,
con le tue capacità lo espugnerai; è tutt’altro che invincibile:
proprio per questo, anzi, non concede facilmente un primo approccio» «non
mi smentirò: corromperò i suoi servi a colpi di tangenti. Se per oggi
resterò tagliato ancora fuori, non desisterò; aspetterò il momento
buono, cercando d’incontrarlo nei crocicchi, poi d’accompagnarlo. Non c’è
nulla in questa vita, che si ottenga senza sforzo». Mentre si esibisce,
ecco spunta Aristio Fusco, caro amico, lo conosce benissimo, lui, quel
seccatore. Ci fermiamo per la strada «donde vieni?
Dove vai?» ci si chiede a vicenda, e si risponde. Accenno a tirarlo
per la veste, cerco di tastare con la mano le sue braccia insensibili. Gli faccio
dei segnali, strizzatine d’occhi: che mi tiri lui fuori dai guai! E invece,
dispettoso, ride, fa lo gnorri. Il fegato mi brucia dalla bile.
«mi pare che tu avessi l’intenzione di parlarmi in confidenza di qualcosa,
almeno, lo dicevi» «certo, mi ricordo. Te ne parlerò,
sì, ma in un momento più opportuno. Oggi è novilunio,
sabato: vuoi forse spernacchiare i giudei circoncisi?» «Non ho»
rispondo «scrupoli religiosi». «ma ce li ho io; soffro, come tanti, di qualche
debolezza in più. Abbi un poco d’indulgenza: un’altra volta ti dirò». Che
sole tenebroso era mai sorto su di me! Se la squaglia, il briccone, e mi lascia
col pugnale sospeso sulla testa. Colpo di scena: viene incontro al seccatore
il suo avversario, e ad alta voce: «infame, dove scappi?» lo apostrofa;
e a me: «testimonieresti a mio favore?» non ho difficoltà a
porgergli l’orecchio. Vanno dritti in tribunale. Gridano ambedue.
Grande accorrere di gente. E fu così che Apollo decise di salvarmi.
traduzione di Nicola Piovani
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