Per lungo tempo, l'uomo non ha saputo fare quel colore, è assente, per esempio, nelle pitture rupestri. Sono stati gli egiziani, per primi, a produrlo sotto forma di un pigmento artificiale.
Non stupisce se alla domanda su quale sia il colore preferito, chiunque, la maggior parte, risponda il blu
come quasi la metà degli intervistati in tutte le indagini in materia: l'azzurro, gradazione del blu, è sempre al primo posto, davanti al verde o viola. Tuttavia, il colore di Facebook e Twitter, non è sempre stato così popolare.
Se aveste fatto la stessa domanda ad Omero, avreste ricevuto una risposta sorprendente. Né nell'Iliade o nell'Odissea si descrive il cielo come blu. Quando il poeta evoca il mare, lo compara al colore del vino. L'assenza di azzurro non è poi così peculiare per gli antichi greci.
Come spiega il linguista Guy Deutscher, le lingue che hanno una parola per il colore blu ne hanno necessariamente una per il rosso, ma non il contrario. Nella evoluzione del linguaggio, l'azzurro è sempre apparso in ritardo. "Non si conosce alcuna eccezione a questa regola, ha detto in un'intervista a The Paris Review. Noi uomini abbiamo trovato un nome al rosso prima di trovarne uno per il blu, non perché vediamo l'uno piuttosto che l'altro, ma perché inventiamo le parole per le cose di cui crediamo sia importante parlare: orbene in tutte le singole culture, il rosso (colore del sangue) è più utile del blu nella quotidianità".
Così come il nome, nella lingua, il pigmento blu è stato più lento a fare la sua comparsa nella pittura. Nelle grotte come Altamira e Lascaux, dove artisti sconosciuti hanno rappresentato la vita del Paleolitico per decine di migliaia di anni, non v'è traccia di azzurro. Solo molto tempo dopo, si è scoperto, in paesi come l'Afghanistan, grandi depositi di lapislazzuli che possono essere serviti nella preparazione di questi colori, ma gli occidentali, gli artisti europei, non ne avevano a disposizione.
Gli autori delle pitture rupestri non disponevano nel loro ambiente di minerali blu in grado di rimanere stabili a contatto con l'aria e, ciò, è durato molto tempo. Fino a quando 5 000 anni fa, gli egiziani, per primi, riuscirono a sintetizzare questo colore. Per far questo, utilizzarono il Nilo, la sua sabbia, i sali minerali (residui), il bronzo per il suo contenuto in rame e riscaldati tutti tra gli 800 e 1000° C. Sin dalla sua creazione, il famoso "blu egiziano", difficile da ottenere e molto ricercato, è stato utilizzato per grandi conquiste dell'arte imperiale, compresa la copertina del famoso busto di Nefertiti esposto al Neues Museum di Berlino.
Così come il nome, nella lingua, il pigmento blu è stato più lento a fare la sua comparsa nella pittura. Nelle grotte come Altamira e Lascaux, dove artisti sconosciuti hanno rappresentato la vita del Paleolitico per decine di migliaia di anni, non v'è traccia di azzurro. Solo molto tempo dopo, si è scoperto, in paesi come l'Afghanistan, grandi depositi di lapislazzuli che possono essere serviti nella preparazione di questi colori, ma gli occidentali, gli artisti europei, non ne avevano a disposizione.
Gli autori delle pitture rupestri non disponevano nel loro ambiente di minerali blu in grado di rimanere stabili a contatto con l'aria e, ciò, è durato molto tempo. Fino a quando 5 000 anni fa, gli egiziani, per primi, riuscirono a sintetizzare questo colore. Per far questo, utilizzarono il Nilo, la sua sabbia, i sali minerali (residui), il bronzo per il suo contenuto in rame e riscaldati tutti tra gli 800 e 1000° C. Sin dalla sua creazione, il famoso "blu egiziano", difficile da ottenere e molto ricercato, è stato utilizzato per grandi conquiste dell'arte imperiale, compresa la copertina del famoso busto di Nefertiti esposto al Neues Museum di Berlino.
Nel corso dei secoli, è apparso in altre civiltà antiche, come dimostra la cintura della dea Iris nel Partenone di Atene, ma è rimasta a lungo un pigmento di lusso. A lungo attributo dei potenti, fino ai grandi progressi della chimica nel XIX° secolo e lo sviluppo di molte nuove soluzioni. Questo pigmento, la sua ricca storia e il simbolismo così forte hanno sempre affascinato, soprattutto gli scienziati. Un team dell'Università di Cantabria e alcuni ricercatori volevano capire che cosa produce la specificità del Blu egiziano: perché il complesso CuO46- formato da ioni Cu2+ e 4 ioni di ossigeno, da un blu così intenso nel composto del pigmento egiziano, mentre molte altre tonalità che contengono lo stesso composto hanno un rendimento molto diverso?
Nel loro lavoro pubblicato sulla rivista Chimica Inorganica,gli scienziati spiegano che, se il colore blu è dato da molecole CuO46-, dipende anche dai campi elettrici interni creati dagli altri ioni, composti che agiscono su queste molecole. Questi campi elettrici, di cui spesso si è trascurata l'influenza, sono anche responsabili delle differenze di colore tra il pigmento egiziano ed altri composti contenenti lo stesso complesso di rame. "Questi campi hanno un ruolo chiave nella Ottenere questo blu intenso", conferma Miguel Moreno, co-autore dello studio con Pablo García e Antonio Aramburu.
L'organizzazione di atomi di rame e di ossigeno è tale che il blu egizio emette una radiazione che, non solo ha permesso la sua alta reputazione nell'antichità, ma ha anche la proprietà di resistere, in qualche misura, alla prova del tempo. "Il Blu egiziano contiene molti atomi di rame separati l'uno dall'altro, che emettono luce infrarossa, precisa Miguel Moreno. Misurando questa radiazione può essere rilevato come un sasso, una volta a contatto del pigmento, anche se ora è invisibile ad occhio nudo, conservi questa caratteristica. Come alcuni frammenti del Partenone".
Grazie alla migliore comprensione dei materiali che producono il colore, questo pigmento reso obsoleto da coloranti chimici potrebbe trovare nuove applicazioni. I ricercatori dell'Università della Georgia hanno dimostrato che il silicato di rame e di calcio egiziano si divide in frammenti blu, formato di strati mille volte più sottili di un capello umano. Questi "nanostrati" emettono una radiazione infrarossa invisibile, simile ai nostri telecomandi, una proprietà che ha attirato l'interesse delle ricerche biomediche. Vedete quanto anche l'antica scienza sapeva delle nanotecnologie ...